Quando pensi a Nike, immagini le scarpe da corsa, il logo Swoosh, o forse le campagne pubblicitarie con atleti come LeBron James o Serena Williams. Ma raramente qualcuno si chiede chi è davvero il proprietario di Nike e cosa crede. La risposta non è solo una questione di denaro o azioni: riguarda la persona che ha costruito un impero partendo da un semplice sogno. E quella persona, Phil Knight, ha una storia personale che va ben oltre il business.
Phil Knight: l’uomo dietro il Swoosh
Phil Knight, nato a Portland, Oregon, nel 1938, è il fondatore di Nike. Non ha mai voluto essere un magnate della moda. All’inizio, era un ex atleta universitario di atletica leggera, laureato in economia, che voleva semplicemente vendere scarpe giapponesi negli Stati Uniti. Nel 1964, insieme al suo ex allenatore Bill Bowerman, ha fondato Blue Ribbon Sports, l’antenato di Nike. Nel 1971, hanno lanciato il primo modello con il nuovo marchio: Nike, ispirato alla dea greca della vittoria.
Non era un uomo di marketing. Non era un designer. Era un venditore. Un uomo che credeva nel potere dell’atletica, della disciplina e della perseveranza. E quella filosofia ha guidato ogni decisione, dalla scelta dei materiali alla costruzione del brand.
La religione di Phil Knight: un credo personale
Phil Knight non ha mai fatto della sua fede religiosa un tema pubblico. Non ha rilasciato dichiarazioni su chiese, rituali o dottrine. Ma ciò che emerge dai suoi scritti, dalle interviste rare e dai racconti di chi lo ha conosciuto bene è che Knight ha sempre seguito un credo personale, profondamente radicato nella cultura protestante americana del Nordovest.
È cresciuto in una famiglia di origine cattolica, ma ha adottato una visione più laica e individualista della spiritualità. Non va in chiesa regolarmente. Non parla di Dio in conferenze stampa. Tuttavia, nei suoi libri, come Shoe Dog, descrive la sua vita come un percorso di fede nella propria visione. Scrive: “Ho creduto in qualcosa che nessun altro vedeva. E ho continuato a credere anche quando tutti mi dicevano di smettere.”
Questa è la sua religione: la fede nell’azione, nel lavoro, nella resistenza. Non è una fede in un testo sacro, ma in un principio: la determinazione può trasformare un’idea in un impero. È un credo che ha insegnato ai suoi dipendenti, ai suoi atleti, ai suoi partner. E che ha fatto di Nike qualcosa di più di un’azienda: un simbolo di superamento dei limiti.
Perché la religione di Phil Knight non importa davvero
La domanda “Qual è la religione del proprietario di Nike?” sembra naturale, ma nasconde un errore di prospettiva. Non è la fede personale di Knight che ha fatto di Nike un marchio globale. È la sua capacità di ascoltare, di investire, di fidarsi di chi sapeva fare meglio di lui.
Per esempio: quando ha assunto Carolyn Davidson, una studentessa di design, per creare il logo Swoosh, non ha chiesto se fosse cristiana, musulmana o atea. Le ha pagato 35 dollari per un’idea che oggi vale miliardi. Quando ha firmato il primo contratto con Michael Jordan, non ha chiesto la sua confessione religiosa. Ha chiesto: “Puoi vincere? Puoi ispirare?”
La vera forza di Nike non sta nella religione del fondatore, ma nel suo modello di leadership: il merito supera l’origine. Questo è ciò che ha reso Nike un marchio universale. Non importa chi sei, da dove vieni, o cosa credi: se hai il coraggio di correre, Nike ti riconosce.
La cultura aziendale: un’altra forma di fede
Nike non ha una religione ufficiale, ma ha una cultura che funziona come una fede collettiva. I dipendenti parlano di “missione” non di profitto. Dicono di “ispirare” non di vendere. I negozi non sono semplici punti vendita: sono spazi di comunità, dove atleti amatoriali e professionisti si incontrano.
Questa cultura nasce da Phil Knight, ma non è più solo sua. È stata costruita da migliaia di persone che hanno creduto nello stesso ideale: che lo sport può cambiare la vita. E questo è più potente di qualsiasi dogma religioso.
Per anni, Nike ha sostenuto atleti di ogni fede, nazionalità e background. Ha sponsorizzato giocatori musulmani che indossano il velo in competizioni internazionali. Ha creato scarpe per donne in paesi dove lo sport femminile era proibito. Non lo ha fatto per fare pubblicità. Lo ha fatto perché credeva, nel profondo, che lo sport fosse un diritto umano.
Phil Knight oggi: ritiro e legacy
Nel 2016, Phil Knight si è ritirato da presidente del consiglio di Nike. Ha lasciato il controllo operativo, ma mantiene una quota significativa delle azioni. Non dà più interviste. Non partecipa a eventi pubblici. Vive in silenzio, a Portland, vicino al campus universitario dove ha corso da giovane.
Secondo chi lo conosce, trascorre il suo tempo leggendo, camminando e pensando. Non parla di religione. Non parla di soldi. Parla di atletica. Di come il corpo umano può superare ogni limite. Di come un giovane che corre da solo, al mattino presto, può cambiare il mondo.
La sua eredità non è nelle azioni che possiede, ma nelle vite che ha ispirato. In un ragazzo in Kenya che corre 10 chilometri per andare a scuola. In una ragazza in Brasile che ha indossato per la prima volta delle Nike da corsa e ha capito di poter essere qualcosa di più. In un padre che ha comprato quelle scarpe per suo figlio, non perché erano di marca, ma perché sapeva che avrebbero dato forza alle sue gambe.
Conclusione: la vera fede di Nike
La religione del proprietario di Nike non è un dettaglio importante. È un rumore di fondo. La vera fede di Nike è qualcosa di molto più semplice e molto più potente: la convinzione che ogni persona, ovunque, ha il diritto di correre, saltare, vincere.
Phil Knight ha costruito un’azienda che non ti chiede chi sei, ma cosa vuoi diventare. E questo, più di ogni credo religioso, è ciò che ha reso Nike immortale.